Quando si parla della fantomatica crudeltà della Nato nei confronti della Serbia del 1999, quando Belgrado fu oggetto di bombardamenti, spesso si omette, per disonestà intellettuale, o per ignoranza, del perché il paese balcanico fu oggetto di questo trattamento. Le cause, per chi non le ricordasse o non le avesse studiate, le ricordo tragicamente qui.
Eppure basterebbe aprire un qualsiasi sito d’informazione. Nel 2022 continua invece quel vizio di gran parte dei social e dei media di obliterare, quasi a piacimento, notizie storiche incredibilmente importanti e altrettanto crudeli. Purtroppo questo è il caso del Kosovo, che fino al 1999 ha rischiato di essere raso al suolo dall’imperialismo serbo.
Chi ha salvato il popolo kossovaro? La NATO. Esattamente, proprio quel nuovo nemico creato ad hoc da un certo tipo di macchina propagandistica, innescata per dividere sempre di più un Occidente più che mai unito nella lotta alle dittature e alle prove di forza circostanziali. Molto semplicemente basta vedere dei video su youtube per accorgersi di come le folle festanti degli abitanti di quella regione, così culturalmente vicina all’Albania tanto da essere descritti come fratelli, cantino felici nei confronti della NATO, la quale aveva semplicemente svolto il lavoro per cui è nata: proteggere. Ma andiamo a vedere come ancora ua volta la storia smaschera sempre e anche molto bene le dimenticanze di certa classe editoriale (eh, ma in Serbia?).
La storia. Cosa è successo in Kosovo.
Siamo attorno alla fine del millennio. Nei Balcani c’è grande fermento bellico, con popolazioni accomunate forse dalla lontana origine slava del sud, ma pochissimo altro. La Jugoslavia si sta dissolvendo. Il sogno di Tito non ha più motivo di esistere, viste le continue tensioni tra serbi, bosniaci, croati, tra musulmani e ortodossi, tra tradizioni e modi di vivere differenti. Tutto questo comporterà una guerra sanguinaria di cui abbiamo ancora le immagini di Sarajevo, capitale bosniaca, bombardata e assediata per anni (1992-1996), del massacro di Srebenica del 1995, dei molti tentativi di pulizia etnica adoperati dall’esercito serbo di Milosevic.
Da questa guerra nasceranno gli stati odierni di Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, più tardi il Montenegro ed infine il Kosovo. Ma cosa è accaduto precisamente in questa regione? Fortunatamente la storia è come una fidanzata arrabbiata, si ricorda sempre tutto. Nel 1998 questa regione, appartenente alla Federazione jugoslava, chiede a gran voce l’indipendenza dallo stato centrale, non avendo nulla a che vedere con il resto della nazione sotto i punti di vista religioso e culturale fra tutti, nonché etnico.
Già nel 1996 l’UCK, il movimento armato nato per l’unificazione della grande Albania, in risposta ai continui omicidi e ai perpetuati soprusi, aveva dato segnali importanti di lotta armata proprio in Kosovo, dove erano giunti arsenali bellici proprio in concomitanza al periodo dell’anarchia albanese (1997). Il 5 marzo 1998, per cercare di catturare Jashari leader del movimenti, vengono uccisi 60 albanesi, di cui 18 donne e 10 bambini, dalla polizia serba nel villaggio di Donje Prekaze. Questo fatto espone il conflitto al decisivo interesse occidentale.
Intervengono ONU e Nato, di nuovo, dopo aver abbandonato la zona nel 1994 in seguito ad accordi tra Stati Uniti e repubblica federale di Jugoslavia, che al suo interno aveva Serbia, Montenegro e Kosovo. Il ritrovamento di cadaveri albanesi mutilati e l’eccidio di almeno 21 albanesi, donne e bambini, a Gornje Obrinje, spinse la comunità occidentale all’azione rapida.
Arriva l’Occidente “cattivo”.
Arrivano così a monitorare la situazione ONU, NATO ed OCSE. il 23 Settembre 1998, agendo ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta cosi la risoluzione 1199, ovvero grande preoccupazione per le 230 mila persone sfollate dalle loro abitazioni a causa di un uso “indiscriminato” della forza messa in atto dalla polizia serba e dall’esercito jugoslavo.
Non mancarono iniziative diplomatiche, portate avanti da Christoper Hill, ambasciatore statunitense in Macedonia, coadiuvato da una figura eminentissima della storia kosovara, Ibrahim Rugova, politico e scrittore, nonché primo presidente della storia della Repubblica del Kosovo. La comunità internazionale chiedeva all’esercito serbo di porre fine alle offensive contro l’UCK, in cambio però la stessa organizzazione doveva rinunciare ai suoi sogni di indipendenza.
15 Ottobre: KVM (Kosovo Verfication Mission). Missione di controllo senza armi per controllare lo stato della pace, quasi tutti appartenenti ufficialmente all’OCSE. Ma ricominciano le azioni belliche nel dicembre del 1998, questa volta ad essere interessate maggiormente sono le aree urbane (Vucitrn, Kacanik).
15 gennaio: massacro di Racak per mano serba, Vengono uccisi 45 contadini kosovari, prima condotti su una collina deserti e poi vittime di una esecuzione sommaria. Arriva il culmine del conflitto. Una crisi umanitaria di profughi in Albania fa sì che l’Onu autorizzi una missione umanitaria della Nato in terra kosovara, l’operazione Allied Harbour, che si concluderà il 31 agosto 1999.
Purtroppo i colloqui di pace di Rambouillet del 1999 non diedero i frutti sperati, in quanto non partecipò Milosevic, forse per paura di essere arrestato per crimini di guerra. Il 18 marzo 1999 i serbi e russi, loro alleati, rifiutarono le condizioni di pace ritenute troppo radicali (amministrazione autonoma NATO del Kosovo con 30 mila truppe NATO presenti, immunità agenti NATO e passaggio sicuro di questi per la Jugoslavia). Così, opponendosi a una fantomatica violazione della sovranità jugoslava, il conflitto continuò, non meno aspramente.
Si passa così alla campagna di bombardamenti in terra Jugoslava da parte della NATO, che coinvolse tutti i membri, eccezion fatta della Grecia. I serbi dovevano lasciare il Kosovo, che invece aveva bisogno di forze armate internazionali. Il 7 maggio colpirono Belgrado. Milosevic, alla fine, consapevole che la Russia non avrebbe difeso i suoi sogni di gloria, consente alla NATO di utilizzare le truppe internazionali in Kosovo.
Così nel giugno 1999, le truppe KFOR entrano in Kosovo e la folla le acclama come coloro che hanno salvato delle vite e portato a loro la pace, che cercavano da tanto tempo. Inoltre, finisce l’ingerenza serba in una zona che ha poco a che fare con la Serbia storica. Alla fine del conflitto le persone vittime di violenze da parte dell’esercito jugoslavo saranno 20.000, documentate.
Cosa dicono alcuni intellettuali?
Perché professori acclamati paragonano questi conflitti alla guerra in Ucraina, cercando dunque giustificazioni sfruttando un episodio completamente diverso? Per audience. Perché per farsi ascoltare da un pubblico poco colto e avente una memoria estremamente corta, bisogna mettere nel calderone diversi fatti.
A me personalmente, dall’alto della mia nullità, questo atteggiamento che mira a dimenticare i morti di genocidi, di pulizie etniche, di violenze e soprusi fa abbastanza paura, perché vuol dire mettere a repentaglio il bagaglio di memoria collettiva che un cittadino globale deve avere, fondamentale per non commettere gli stessi errori in futuro.
Dimenticare quanto accaduto in Kosovo, pensando solo ai bombardamenti di Belgrado, uccide per la seconda volta le vittime di questo conflitto, e secondo me non c’è proprio il bisogno. Rispetto per i morti. Rispetto per la storia. Rispetto per la memoria.
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2 comments
tutto ovvio & perfetto. Con buona pace de “il mio nome è mai più” ecc.ecc.
Leggo della partecipazione dell’OCSE alla missione di interposizione e pacificazione. Ma temo ci sia un errore l’OCSE (anche nota come OECD) è un’organizzazione che si occupa di economia e commercio, mentre è l’OSCE la “Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa”.