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Confondere critica e censura è vizio da censori

L’Italia è spesso terra di frustrazione per gli onesti, per gli intellettuali e soprattutto per gli onesti intellettualmente. Per i primi è il regno del gatto e della volpe, della furbizia e delle scorciatoie come alternativa al merito e al sudore. Per i secondi è il deserto delle prospettive, un terreno bruciato dal sale della gerontocrazia.

Per quanto riguarda l’onestà intellettuale, scarsa gratificazione. Nel costume italiano v’è una vertiginosa quantità di incentivi a non esserlo. Esponenti delle istituzioni possono dedicarsi allo sciacallaggio persino delle catastrofi ambientali senza sostanziali danni reputazionali. Stessa cosa vale per tutte quelle cantonate inenarrabili prese da figure considerate autorità e quindi intangibili fonti di verità e giustizia nel bestiario massmediale.

Il dibattito pubblico è la superficie a cui vengono a galla molti prodotti del magma culturale italiano. Osservando il suo svolgersi, le sue sfaccettature ci può capitare di gettare uno sguardo su alcune delle pulsioni più recondite che albergano nel nostro consorzio civile.

Qui ogni fatto è terreno di caccia, ogni argomento che osi varcare l’uscio dell’interesse collettivo viene dilaniato dalle fauci della polarizzazione che galvanizza gli ultras ed i loro campioni. Nessuna arma è esclusa, nessun mezzo è proibito. Nella mêlée è tutto un via vai di fake news, fallacie logiche, monologhi vuoti, comizi, battibecchi da bar. Se vogliamo, la frustrazione dell’intellettuale qui si configura come la necessità di ribadire l’ovvio contro le assurde barricate della post-verità. Il banale come unico contributo possibile al disperato tentativo di salvare le capre e i cavoli di un Paese alla deriva.

Fra le dinamiche più tossiche che inquinano il dibattito pubblico odierno vi è la oculata, ricercata, provocata sovrapposizione indebita fra il concetto di censura e quello di critica. Fra lo scontro di idee anche acceso, abrasivo, e il tentativo di neutralizzare una minaccia ideologica da parte di un’istituzione con il tramite di una forza di imperio asimmetrica imponibile a discrezione.

Esse non sono e non possono essere sinonimi, poiché laddove vi è censura non vi può essere critica, e laddove vi è critica non vi può essere alcuna forma di censura. Il perché è presto detto: posto che l’idea A susciti la critica che esprime l’idea B, se la censura neutralizza A allora si perde l’oggetto della critica che esprime B. Se la censura neutralizza B, allora la critica non esiste più. La censura non può esistere in forma di critica, poiché la critica per esistere implica che venga espressa l’idea criticata. Viene persino un po’ da sorridere a chiamarla logica.

Questa manipolazione può attuarsi in due “direzioni” opposte. La meno diffusa è quella che vuole far passare tentativi grossolani ma veritieri di ammutolire chi la pensa diversamente come legittima critica. Riguarda soprattutto gruppi studenteschi o improvvisate folle coi forconi che vengono a crearsi in situazioni ideologicamente tese.

Basti pensare a quanto è accaduto alla ministra Roccella al Salone del libro di Torino oppure a fine ottobre 2022, quando degli studenti di sinistra espressero la volontà di non lasciare alcuno spazio ad associazioni di destra nell’Università pubblica della Sapienza. A entrambi gli oggetti di questi attacchi si è voluto impedire di esprimere liberamente le loro idee in luoghi pubblici. Ci troviamo nettamente fuori dall’alveo della critica legittima, la quale, si diceva, può essere esercitata soltanto dopo che le idee siano state espresse. Soprattutto non può avvalersi di violenza fisica, neanche se minacciata, neanche se si tratta di cori che sovrastano la voce della vittima. Certo, non somiglia alla censura nel senso espresso nel paragrafo precedente, ma rimane una grave forma di intolleranza. Quest’ultima può essere esercitata da un singolo e/o da un gruppo ristretto di autocrati così come da una maggioranza imbufalita forte del proprio numero e non dei propri argomenti.

La seconda e più diffusa espressione di questa provocata confusione è incarnata da un atteggiamento diverso, ancor meno giustificabile. Parlo di quell’atteggiamento vittimistico che consiste nell’esprimere pubblicamente delle idee e poi nell’accogliere malamente qualsiasi legittima critica come un tentativo efferato di minare alla libera espressione di quelle precise idee e, più in generale, come un attentato al pluralismo. Non è insolito, infatti, trovare a corollario di questo artificio retorico finanche una morale su quanto non esista più democrazia o di quanto poco sia libera la libertà occidentale. Tutto ciò nutre il dibattito quanto il petrolio nutre la barriera corallina ed è ormai diventato per certi versi uno standard.

Prendiamo ad esempio Alessandro Orsini, il quale dall’invasione dell’Ucraina ha accumulato un numero di comparse in tv e sui giornali e di libri venduti senza precedenti nella sua storia personale e che, ad oggi, continua a marciare sul personaggio costruito del dissidente che talvolta i poteri forti e talvolta le schiere di zombie del pensiero unico vogliono mettere a tacere. Attualmente usa questo pretesto come leva commerciale per chiedere il follow sul suo canale YouTube. Nonostante i potenti e oscuri padroni del mainstream provino ad imbavagliarlo, Orsini continua a calcare palchi e schermi e a macinare share indisturbato.

Non è un caso che anche il professore si sia accodato alla sequela di diabetiche dimostrazioni di vicinanza umana alla giornalista Daniela Ranieri la cui vicenda – che potrete ricostruire sul Twitter – ha ispirato, si deve ammettere, la stesura di questo trafiletto un po’ troppo cresciuto.

Ranieri ha di recente scritto un articolo per il Fatto Quotidiano (al quale si rimanda a dimostrazione che qui la censura non è di casa) sulla storica intervista a Zelensky durante la sua visita romana. Questo articolo le è costato delle sonore quanto normalissime sberle intellettuali da parte della ricercatrice Nona Mikhelidze, la quale è riuscita con brevi e chirurgiche risposte a mandare in fumo i punti nevralgici delle argomentazioni della giornalista. Queste argomentazioni sono state per altro reiterate in un secondo articolo carente allo stesso modo dal punto di vista meramente fattuale e allo stesso modo efficacemente criticato dalla stessa Mikhelidze. Non solo, la vicenda di Daniela Ranieri ha ispirato anche la prof Sofia Ventura, la quale ha dato un’interessante contributo alla faccenda con un approfondimento riguardante il tema della post-verità.

La definizione [di post-verità] non ci dice una cosa importante, ovvero che credenze personali ed emozioni, che diventano i principali veicoli attraverso i quali si vuole conoscere il mondo, scartando tutto ciò che le contraddice, sono sollecitate, accarezzate, innescate dal disordine informativo.

Sofia Ventura

Non si riesce bene a capire il come ed il perché, ma per la gang del fosco si è trattato addirittura di atti di linciaggio. Le critiche di Mikhelidze e di Ventura sono state narrate quali violentissimi attentati alla libertà di espressione di Ranieri, entrambe per altro esposte in maniera tanto ferma quanto educata. Per De Cesare la finiana Ventura e altri “loschi personaggi” vorrebbero zittire l’informazione critica. Per Orsini gli articoli di Ranieri “sono bellissimi” e la ringrazia di aver ridicolizzato quel gruppo di ridicoli che “manco in Cina sotto Mao”, manipolatori dell’informazione e nemici della società libera.

Fassina invece prima si dichiara solidale con Ranieri, a sua detta linciata dai pretori dei valori Occidentali che attentano al pluralismo poiché si sono permessi di esprimere critiche nel merito, punto per punto. Poi, rispondendo a Ventura, si dichiara capace di poter ribattere con una contro-critica nel merito punto per punto alle affermazioni di Nona Mikhelidze, facendole anche la morale che, se lo facesse, sarebbe un esempio di pluralismo. Praticamente per Fassina si ha pluralismo solamente quando vengono espresse le singole idee che piacciono a lui, tutti quelli che ne esprimono di altre sono dei provetti Torquemada. “È così confuso da colpirsi da solo”, mi verrebbe da dire. “È disordine argomentativo” mi verrebbe da aggiungere a quanto riportato dell’articolo di Ventura.

Disertare il dibattito utilizzando la retorica della tentata censura ha tutta una serie di layers interpretativi uno più simpatico dell’altro:

  • A livello umano vuol dire innanzitutto mancare di rispetto al proprio interlocutore e applicargli sulla fronte una sentenza arbitraria che ne discrediti prima la qualità umana e poi, di conseguenza, la critica.
  • A livello intellettuale vuol dire svicolare furbescamente dall’obbligo metodologico di dimostrare quanto si asserisce. Nel mondo ideale basterebbe a qualificare come insignificanti i propri argomenti e a qualificare chi li diffonde come un ciarlatano.
  • A livello politico ci troviamo di fronte alla più manifesta ipocrisia: si lamenta la tentata censura “criminalizzando” de facto la legittima critica, la quale è invece della libertà d’espressione la particella più piccola, primordiale ed indivisibile.

Tutto ciò lascia trapelare null’altro che fastidio, intolleranza, allergia per il diritto del prossimo di mettere in discussione la nostra autorità: il vittimismo è una pelosa maniera di soddisfare il desiderio latente di censurare la libertà altrui di esprimersi e di dissentire. Change my mind.

Si ringrazia Asami Comics per aver arricchito questo articolo con la sua satira.

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1 comment

Maurizio 04/06/2023 at 19:49

Meccanicamente ineccepibile.
Peccato che paragonare il fracasso ed il disagio procurato da un manipolo di ragazzotte che contro un ministro che pubblica libri sull’argomento hanno avuto l’unico potere di rendere complicato l’intervento (evidentemente) non gradito del soggetto in questione, risultando sì efficace da addirittura indurre la Roccella a desistere dal provarci, paragonare tutto questo a censura, mi sembra un po’ pisciare fuori dal vaso.

Comuni cittadini non hanno poteri e facoltà equipollenti a quelli di un personaggio della vita pubblica, un ministro (che oltre a fare il ministro pubblica anche libri), soprattutto nelle forme espressive e favorire l’impedimento di tale soggetto ad esprimere idee e opinioni, potrà non piacere (ed è tautologico il motivo per cui lo si fa), ma non impedisce a tale soggetto di divulgare il proprio pensiero attraverso altri mezzi (che pubblica libri l’ho già detto?), in altre sedi ed in altri momenti.
Poi sarebbe anche onesto dire che un politico dovrebbe essere all’altezza di affrontare certe situazioni, dovrebbe sapere che può essere contestato, tenere a mente che è lì per rappresentare anche quelli che non l’hanno votato, perché dovrebbe essere un ministro di tutti, come chiunque abbia la responsabilità di governare. Bisognerebbe piagnucolare di meno un po’ tutti quanti e chi detiene certe responsabilità dovrebbe essere il primo a dare l’esempio, perché chi sta lì dovrebbe dimostrarmi di essere migliore di me. Invece si persevera in quell’atteggiamento vittimistico di cui si parlava, come se fossero stati linciati e deportati, come se fosse stato tolto loro il potere, come se ci fosse uno squilibrio nel senso opposto.

La politica migliora la società se proietta sulla società stessa dei valori superiori a quanto espressi da quest’ultima. Quello che fa invece la politica attuale e cortocircuitare la mediocrità e l’inadeguatezza sociale con la società stessa dal palco di un comizio o da un video su tiktok.

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